3%: CAVEAT INVESTOR

Questa volta non parliamo di deficit/PIL ma deI rendimento sui titoli di Stato americani a 10 anni (T-Bond) che ha superato giovedì la soglia psicologica del 3%, sospinto dalla decisione della Fed di iniziare il “tapering” (l’inversione di marcia cioè rispetto alle misure eccezionali di stimolo monetario iniziate all’indomani dello scoppio della crisi) e dagli ottimi dati macro statunitensi (il GDP nel terzo trimestre si è chiuso con un ottimo +4,1%, la disoccupazione è al 7%, … un sogno per noi europei).

Quale è la conseguenza per gli investitori?

Per gli investitori in obbligazioni di paesi “core”, il 2013 è uno dei pochi anni negli ultimi 30 ad aver consegnato perdite significative. A fine 2012, il rendimento del Treasury decennale era pari a circa 1,75%: ipotizzando una duration di 9 anni, ne deriva una perdita in conto capitale pari a –(3%-1.75%)*9= -11.25%. Come dicevamo, da quando Volcker nei primi anni ’80 vinse la battaglia contro l’inflazione, è’ successo poche altre volte di osservare una perdita percentuale a 2 cifre, soprattutto dopo un anno come il 2012 che si era chiuso in sostanziale pareggio: nel 2009 (ma l’anno prima c’era stato un movimento analogo di segno inverso), nel 1994 (ma poi nel 1995 si era recuperato tutto), nel 1987 (ma si veniva da 2 annate positive a doppia cifra).

Le prospettive per il 2014 e per gli anni successivi non sono confortanti (per chi detiene obbligazioni core a lunga scadenza): al 3%, il T-Bond è ancora su livelli bassissimi, raramente sperimentati negli ultimi 200 anni. Anche escludendo i periodi di inflazione elevata, un valore pari a 4% per i tassi a lungo termine appartiene più alla norma che non un 3% o un 2%. Ed è molto, molto difficile immaginare che i tassi a lungo termine possano ridursi quando l’economia incomincia a consolidare la ripresa e la FED inizia a ritirare le manovre di stimolo monetario.

In Europa il ciclo economico è “indietro” rispetto a quello americano di parecchi trimestri e la BCE, per quanto condizionata dai falchi della Bundesbank, ritarderà il più possibile qualsiasi mossa restrittiva. Al contrario, visto che l’erogazione di credito all’economia reale potrebbe rimanere condizionata negativamente nel 2014 dagli stress test, la prossima mossa della BCE è più in senso espansivo che non restrittivo (un nuovo LTRO?). Ma i mercati si muovono sulle aspettative a medio e lungo termine e le aspettative contano tantissimo quando l’orizzonte temporale da valutare è quello di un’obbligazione a 10 o 30 anni. Se il ciclo economico mondiale, guidato dagli USA, riparte, il mercato ipotizzerà che anche quello europeo ripartirà e di conseguenza anche il tasso di un titolo “core” europeo, come il Bund, seguirà il T-Bond al rialzo. E, infatti, dal 24/12 ad oggi il rendimento del Bund è aumentato di 5 bp, arrivando ad un soffio dal 2% (1,95%). Se il Treasury dovesse spostarsi in area 4%, il Bund dovrà necessariamente spostarsi in area 3%, a meno che nell’area euro non succedano disastri di proporzioni colossali tipo 2011 (ma in questo caso anche il Treasury ne beneficerebbe in qualità di safe heaven).

Quindi, il 2014 anche per il Bund il 2014 dovrebbe caratterizzarsi come un anno dal rendimento di periodo negativo, e questo dopo un 2013 che si è chiuso con una perdita non grossa come quella del Treasury ma comunque pari ad un -4% circa.

Veniamo ai BTP. La disgrazia dello spread può rivelarsi una “fortuna”, a meno che i politici italiani non si mettano d’impegno per distruggere quel poco di credibilità che Monti ci ha fatto riguadagnare l’anno scorso. Lo spread è infatti un cuscinetto che, riducendosi, può attutire il movimento al rialzo dei tassi internazionali. Ovviamente, per potersi ridurre è necessario che l’Italia agganci la ripresa internazionale. Per farlo è sufficiente che il governo stia fermo, immobile sul fronte economico e faccia le riforme istituzionali. Se Letta-Alfano evitano di confondere gli operatori economici italiani con vicende vergognose come l’abolizione dell’ IMU e il Salva-Roma, possiamo farcela. Nel 2013 i BTP hanno registrato una performance positiva grazie proprio alla compressione dello spread: da un rendimento del 4,45% siamo scesi al 4,2% circa di oggi, con uno spread pari a circa 2,25%. Una riduzione dello spread verso 1,5% è alla nostra portata. Se così fosse, il 2014 per il BTP non sarà un anno esaltante ma almeno le cedole dovrebbero consentire di ripagare un’eventuale, modesta perdita in c/capitale.

Spostando lo sguardo su altre asset class, tutto dipenderà dalla percezione sulla solidità della ripresa economica mondiale. Un rialzo dei tassi è in genere negativo per tutti gli strumenti finanziari, comprese le azioni, le commodities, le obbligazioni corporate, … Se, però, il rialzo non compromette il ciclo economico, può accadere che l’aumento della tolleranza al rischio e le aspettative di crescita degli utili favoriscano una riallocazione dei portafogli a beneficio delle asset class più a leva rispetto al ciclo economico: ad esempio azioni e obbligazioni di paesi periferici (i ns BTP). E questo quindi potrebbe consentire a tali asset class di affrontare positivamente l’anno che viene. Ma perché ciò accada alcune domande hanno bisogno di risposte: la crescita sarà limitata ai soli Stati Uniti, con tutti gli altri al traino? Sarà sufficientemente robusta da resistere alla graduale riduzione delle dosi di droga monetaria massicciamente somministrate in questi anni dalla FED? Le crisi di liquidità che hanno interessato la Cina in giugno e in dicembre sono manifestazioni di immaturità del sistema finanziario o sono il sintomo di una crisi imminente del modello di sviluppo cinese? Nelle elezioni europee i partiti anti-euro rimarranno minoranza? L’Italia saprà almeno una volta sorprendere positivamente la comunità internazionale, mostrando senso di responsabilità e portando a termine le riforme istituzionali?

Purtroppo, anche quest’anno come negli ultimi 2013 anni, nessun cristiano possiede la sfera di cristallo e la risposta è ancora una volta “God knows” … o, come direbbero i banchieri centrali, “data dependent”.

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