Ai gestori attivi interessa il proprio portafoglio o quello dei loro clienti?

I gestori “attivi”, quelli per cui i risparmiatori pagano fior di quattrini in commissioni di gestione, stanno vivendo la nuova Mifid2 come un dramma. Abbiamo visto in precedenti post come i gestori attivi (M. Carmignac) siano i primi ad essere consapevoli che, senza le distorsioni dell’attuale sistema distributivo, non riuscirebbero a reggere la concorrenza degli ETF, i fondi “passivi” a basso costo. Un altro segnale di come si sia invertito il mondo della gestione attiva viene da un articolo apparso lo scorso lunedì sull’inserto settimanale del Financial Times dedicato al mondo dell’asset management. In questo articolo si documenta la battaglia che i gestori attivi stanno combattendo per continuare a farsi pagare la “ricerca” dai sottoscrittori dei fondi.

Oggi, i fondi azionari “attivi” basano le loro strategie di investimento principalmente sulla ricerca che ricevono dagli intermediari finanziari con cui negoziano le azioni del vostro fondo. Questa ricerca non arriva gratis, ma il suo costo è incorporato nelle commissioni di negoziazione. Ad esempio, per negoziare un’azione senza “ricerca” si paga 0,05%. Per negoziare un’azione con “ricerca” inclusa si paga 0,15% o 0,2%.

Attenzione che a pagare siete voi (nel senso che il vostro patrimonio si riduce in funzione delle maggiori commissioni di intermediazione). Se il portafoglio del fondo che avete acquistato è di 100 milioni di euro e il vostro gestore lo fa girare 3 volte in un anno (è o non è un gestore attivo?), nel primo caso pagate 150.000 euro di commissioni. Nel secondo caso, ne pagate 450.000-600.000.

Un gestore attivo si sta facendo già pagare commissioni più alte di un ETF proprio perché “studia” il mercato e cerca di batterlo. Sempre nell’esempio di cui sopra si sta probabilmente facendo pagare 2 milioni di euro (senza contare le commissioni di overperformance), mentre con un ETF ne paghereste solo 300.000. La differenza di 1.700.000 di euro non serve a remunerare il CV del gestore (che in molti casi è di gran lunga inferiore a quello dei gestori di ETF) o il bell’aspetto (i gestori “attivi” sono molto bravi in genere nelle pubbliche relazioni, mentre i gestori degli ETF sono “nerds” che provengono dal CERN o da qualche facoltà di matematica dell’Est Europa). Quindi, vi aspettereste che questo 1.700.000 che spendete in più venga utilizzato dal gestore attivo per raccogliere dati, fare ricerca ed eventualmente comprarla, non per pagarsi la Porsche o le vacanze in barca.

Invece, una parte della ricerca, quella appunto prodotta dai broker, il gestore attivo non la paga con gli introiti da commissioni ma con la attività di intermediazione, facendola cioè pagare un’altra volta ai sottoscrittori. Questo alla Unione Europea non sta più bene e a ragione. Oltre ad essere ingiusto, provoca anche dei costi in più e delle inefficienze nella gestione. Se infatti è il gestore a pagare per la ricerca con i suoi soldi starà attento alla qualità di quello che riceva e selezionerà i più bravi. Se invece a pagare è il cliente, il gestore accumulerà ricerca inutile. Non solo. Le commissioni di intermediazione sono un elemento fondamentale nella performance di un fondo. Ora, la qualità dell’execution è quantitativamente misurabile. La qualità della ricerca no. Mischiando le due tipologie di costo, execution e ricerca, diventa quasi impossibile mettere in competizione i diversi intermediari tra di loro, generando una forma di collusione implicita. Ancora una volta, questo ai gestori attivi evidentemente non interessa, tanto sono i clienti a pagare. E fa niente che un piccolo investitore fai da te, che usa la piattaforma di Fineco per fare trading, paghi una frazione di quello che, ceteris paribus, paga un fondo con centinaia di milioni di AUM e che potrebbe contrattare condizioni eccezionali.

La cosa buffa, ma che dovrebbe far pensare i risparmiatori, è che a difendere a spada tratta questo sistema non sono le investment bank (che oggi sono quelle che ci guadagnano) ma i gestori attivi (che sono quelli che domani ci perderebbero) e che dovrebbero essere dalla parte dei risparmiatori, in quanto gestori dei loro patrimoni.

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