Lunedi’ l’Istat ha pubblicato l’indice di fiducia delle imprese. Si tratta di un dato attraverso il quale si misura il grado di ottimismo degli imprenditori con l’obiettivo ultimo di inferire le prospettive future dell’economia nazionale. Come si calcola? La Nota Metodologica fornita dall’Istat è molto chiara: ” (…) Lo schema prevede quattro indagini mensili rivolte, rispettivamente, alle imprese dell’industria manifatturiera, delle costruzioni, dei servizi di mercato e del commercio al dettaglio. (….. ) Le informazioni raccolte sono prevalentemente di natura qualitativa e sono finalizzate a ottenere indicazioni sullo stato corrente e sulle aspettative a breve termine (su un orizzonte di 3 mesi) delle principali variabili aziendali”.
In altre parole si tratta di un semplice sondaggio telefonico basato su “rilevazioni che utilizzano campioni “panel” di imprese estratti dall’archivio Asia (Archivio statistico delle imprese attive)”(*)
L’indicatore cosi’ ottenuto alimenta l’ottimismo! Secondo l’Istat, il clima di fiducia delle imprese italiane, nel mese di Settembre, sale a 83.3 da 82 di Agosto e conferma il trend di miglioramento già iniziato qualche mese fa (v. grafico).
Questa notizia, tuttavia, stride con l’allarme lanciato da Confesercenti proprio durante il mese di Settembre con cui si denunciava il rischio di svuotamento delle città a causa della chiusura di bar, ristoranti, hotel, negozi di abbigliamento. Nei primi 8 mesi dell’anno, l’osservatorio di Confesercenti parla di 50 mila imprese chiuse, solo nei settori del commercio e del turismo. Senza sottovalutare la crisi del manifatturiero con percentuali di cessazioni nel farmaceutico, nel tessile, nella pelletteria e nell’abbigliamento che sfiorano livelli spaventosi (superiori al 25% negli ultimi 5 anni, secondo le stime di Confindustria). E che dire ancora delle drammatiche notizie diffuse dai media durante il mese di Agosto con cui si raccontava di imprenditori che, di notte, approfittando peraltro delle ferie dei propri dipendenti, hanno caricato i macchinari sui camion per trasferire la produzione all’estero?
Sembra la solita “guerra” tra cronaca e statistica; la prima che grida alla crisi, la seconda che racconta di una ripresa già in atto. Chi avrà ragione? Possibile che la statistica ci inganni?
Beh, gli addetti ai lavori sanno che i numeri possono generare delle illusioni, peraltro neanche tanto sofisticate. Supponiamo ci siano 10 imprese che si dividono equamente un fatturato di 10. Dopo un anno il fatturato cala da 10 a 6 e 5 aziende sono costrette alla chiusura. Ciascuna delle 5 imprese ancora in vita vedrà aumentare il proprio “volume d’affari” da 1 a 1,2. Come fare quindi a rispondere con pessimismo al sondaggio Istat? Peccato pero’ che il fatturato totale, vero indicatore del benessere economico globale, sia bruscamente calato! Gli statistici definiscono questo “errore logico” con un termine difficile, “survivorship bias”.
Gli imprenditori, molto piu’ pratici, lo chiamano “gioco delle tre carte” e non si lasciano entusiasmare dagli indicatori di fiducia. Il pragmatismo impone loro di aspettare il miglioramento dei dati reali.
Per ora, chi sopravvive sa che sta beneficiando di una parte della fetta di mercato che fino al giorno prima apparteneva al suo concorrente.
Adesso, forse, e’ più chiaro a tutti il senso del cartello che il mio pasticciere di fiducia ha esposto fuori dal suo locale, con su scritto: “Aperto per crisi!”. E c’e’, invece, chi pensava si trattasse di una banale deformazione professionale: si sa che ai pasticcieri piace sempre gustare il lato dolce delle cose
(*) Nota Metodologica Istat : http://www.istat.it/it/archivio/99486