In diverse occasioni abbiamo affrontato l’argomento degli emergenti. Oggi il tema centrale per gli investitori è capire se la crisi che li sta coinvolgendo possa avere un effetto contagio generalizzato. Di seguito riportiamo alcuni contributi raccolti da chi su quei mercati ci opera quotidianamente.
Le ultime settimane sono state caratterizzate dalla turbolenza finanziaria che ha investito alcune delle principali valute emergenti, al punto che molti investitori iniziano a parlare di “rischio contagio”. Ma a cosa si riferiscono esattamente?
Per capire bene quanto stia accadendo sullo scacchiere economico mondiale, è necessario fare un passo indietro e precisamente a maggio dello scorso anno, quando per la prima volta la Fed, la Banca Centrale degli Usa, ha iniziato a parlare di necessità di ridurre gli stimoli monetari che ha elargito in enorme quantità e ininterrottamente per diversi anni, per reagire alla grande crisi del 2008.
Ma perché la politica monetaria americana ha un impatto così importante sulle economie emergenti? In un mondo globalizzato in cui lo spostamento dei capitali è libero, le relazioni economico-finanziarie tra Paesi sono molto più importanti di quanto intuitivamente si possa pensare.
La liquidità che le banche centrali dei Paesi occidentali hanno immesso nel sistema economico-finanziario per reagire alla recessione è confluita massicciamente verso quei Paesi, tipicamente definiti come “emergenti”, con tassi d’interesse più alti e prospettive di crescita migliori. Il flusso di capitale ha consentito a queste economie di mantenere relativamente bassi i propri tassi di riferimento e così si è stimolata la crescita domestica. Questo ha determinato un aumento delle loro importazioni, che a loro volta servivano per far riprendere l’economia dei Paesi in crisi come Europa e Usa, e una riduzione progressiva delle esportazioni. Tutto ciò ha portato molti Paesi emergenti a passare da un attivo a un passivo della propria bilancia commerciale. Non c’e’ bisogno di scomodare il modello di Mundell-Fleming per intuire che l’equilibrio economico tra un paese e l’estero si raggiunge nel momento in cui il flusso di capitali è sufficiente a finanziare il disavanzo commerciale. La liquidità messa a disposizione dalle Banche centrali del mondo, Fed in primis, è stata così abbondante da consentire anche un aumento delle riserve valutarie di molti Paesi in via di sviluppo. Questo è un aspetto positivo e non trascurabile in quanto, congiuntamente con i regimi di cambio flessibile ormai adottati dai principali Paesi emergenti e il minore ricorso al debito denominato in valuta straniera, rappresenta l’elemento distintivo rispetto alle precedenti crisi che hanno investito queste economie, l’ultima delle quali risale alla fine degli anni 90 ed è passata alla storia con il nome di “Crisi Asiatica”.
Era chiaro che questo nuovo equilibrio mondiale avrebbe retto fino a quando le Banche centrali si sarebbero impegnate a mantenere liquidità in eccesso nel sistema; ecco perché oggi il timore che la riduzione degli stimoli monetari decisa dalla Fed possa far saltare il banco esiste ed è concreto ed interessa in particolare quei Paesi che con un’etichetta ad effetto sono stati definiti “Fragile 5”, in antitesi con l’espressione “Brics” più di moda qualche anno fa: India, Indonesia, Brasile, Turchia e Sudafrica. Volutamente escludiamo l’Argentina in cui per anni si sono implementate politiche monetarie e fiscali assolutamente dissennate e neanche paragonabili a quelle dei Paesi di cui abbiamo discusso finora. Le dinamiche di questo Paese vanno quindi considerate come un caso a se stante sebbene in una fase di forte tensione finanziaria possano essere pericolosamente amplificate.
In assenza di flussi di capitale in entrata, questi Paesi hanno bisogno di tornare ad avere un avanzo di bilancia commerciale e questo è possibile o aumentando le esportazioni (evento auspicabile) o riducendo le importazioni (caso più temuto). L’aumento delle esportazioni sarebbe la soluzione più ‘ comoda e indolore ma è possibile solo se la crescita economica globale accelera significativamente. Se da una parte i segnali provenienti da Usa, Giappone e gradualmente anche da Europa sono incoraggianti, dall’altra, il rallentamento economico della Cina, alle prese con l’esigenza di implementare riforme strutturali per rendere più sostenibile il proprio modello di sviluppo economico, contribuisce ad inasprire i timori del mercato.
Ecco quindi che lo scetticismo degli Investitori costringe le Autorità dei paesi più fragili ad implementare politiche economiche restrittive per rallentare la crescita domestica e ridurre le importazioni. Si spiegano in questo modo le manovre aggressive delle Banche Centrali di India, Turchia e Sudafrica che nel pieno della recente turbolenza finanziaria hanno aumentato significativamente i propri tassi di interesse. Per la verità c’e’ da dire che tali interventi erano urgenti già da qualche tempo poiché in ognuno di questi Paesi i tassi nominali erano, e in alcuni casi lo sono ancora, inferiori al rispettivo livello d’inflazione. La reticenza delle Autorità si spiega con gli importanti appuntamenti elettorali che molti Paesi emergenti affronteranno nel corso di quest’anno. Ancora una volta, il cinismo impaziente dei mercati finanziari potrebbe rivelarsi come la “tirata d’orecchi” necessaria per evitare conseguenze nefaste di cui la “miopia” politica potrebbe diventare responsabile.
Non dovremmo stupirci più di tanto, giacché ci sono poche differenze rispetto a quanto accaduto al nostro Paese verso la fine del 2011 quando l’“attacco dello spread” si rivelò provvidenziale per risparmiarci la sciagurata sorte di un vero fallimento finanziario.
Le dinamiche appena descritte dimostrano quanto forti siano le connessioni tra le varie aree geografiche, indipendentemente dalla situazione contingente di ciascuna di esse. Pensare che siano realtà economiche diverse e indipendenti sarebbe come se in meteorologia si guardasse alle zone di alta e di bassa pressione come a un fenomeno di “decoupling” climatico, anziché analizzarle per prevedere le variazioni del meteo futuro.
Tornando quindi alla domanda iniziale sul “rischio contagio”, il timore degli investitori è che le difficoltà di alcuni Paesi non si limitino a generare volatilità sui mercati, che per certi versi è quasi normale e inevitabile, ma siano tali da compromettere la stabilità finanziaria di Paesi più solidi, anche “emergenti, con le implicazioni negative che questo avrebbe sulla crescita economica globale. Sarebbe uno scenario psicologicamente devastante se si considera che, per quanto ci riguarda, solo ora si inizia a parlare di timidi segnali di ripresa e di un graduale e lento ritorno alla normalità.
Un mondo economicamente e finanziariamente aperto come il nostro è vulnerabile alla creazione di eccessi e ai rischi di contagio, ma ha anche più strumenti per affrontarli e gestirli; tra questi la cooperazione e il coordinamento internazionali sono i più potenti, senza che però nessuno si sottragga alle proprie responsabilità e ai propri impegni.
Prudenza vuole che non si escluda il rischio di uno scenario di coda, le cui conseguenze sarebbero disastrose (nulla da invidiare, per intenderci, a uno scenario di “Eur breakup”). Si realizzerebbe nel caso in cui la speculazione finanziaria procedesse incontrastata secondo la contagiosa logica del “who is the next one?”, a prescindere dai reali fondamentali economici dei vari Paesi.
E’ tuttavia persino più pericoloso cadere nella trappola dell’eccesso di prudenza e assegnare allo scenario di coda una probabilità di realizzo superiore a quella che sarebbe razionale attribuirgli.
Si rischierebbe, infatti, di andare incontro alla “profezia che si auto-adempie” e ancora una volta è compito delle Autorità Politiche e Monetarie di tutto il mondo sventare una simile minaccia, per consentire un assorbimento graduale e necessario degli attuali squilibri macro-economici.