ELECTROLUX: DURA REALITAS SED REALITAS

La vicenda Electrolux, con la proposta da parte dell’azienda di ridurre i salari (del 8% secondo l’azienda, del 50% secondo i sindacati), rappresenta plasticamente il declino italiano. Attenzione, però a rispondere, ripercorrendo la strada fallimentare dei “piani industriali”. Piuttosto si impari dalla vicenda per agire sulla competitività del sistema Italia. Speriamo che i tanti expats che leggono il nostro blog diano il loro contributo attivo. Sappiamo che la vicenda è penosa e umiliante, quindi possiamo comprendere la ritrosia nel commentare. Però, in un momento come questo, è proprio da chi vive sulla propria pelle la globalizzazione che devono arrivare idee per capire cosa bisogna fare e cosa no.

Partiamo dal modello economico base, dove il mercato del lavoro è come qualsiasi altro mercato e l’equilibrio tra domanda e offerta si raggiunge attraverso l’aggiustamento dei prezzi. Il prezzo del lavoro è il salario reale (W/P). Se la domanda di lavoro da parte delle imprese è inferiore all’offerta, il prezzo del lavoro deve ridursi se vogliamo riequilibrare il mercato e mantenere il livello occupazionale. La riduzione del salario reale può avvenire in due modi. O sale il livello dei prezzi o scende il salario nominale. Visto che il livello dei prezzi non scende (siamo nell’euro e quindi non possiamo svalutare), l’unica possibilità per mantenere la piena occupazione è attraverso la riduzione del salario nominale. Se i lavoratori non accettano una riduzione dei salari nominali, domanda e offerta si incontreranno ad un livello più basso. Cioè, avremo un aumento della disoccupazione.

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Fa male dirlo, ferisce la dignità di ognuno di noi, in quanto lavoratori e in quanto cittadini italiani, ma se l’operaio polacco è in grado di fare lo stesso lavoro nostro a 800 euro al mese c’è poco da fare. Un differenziale salariale a nostro favore si giustificherebbe se il sistema paese compensasse in altro modo, (vedi dopo) ma evidentemente la Electrolux non percepisce un vantaggio particolare nel produrre in Italia. Possiamo cercare di sussidiare noi i lavoratori, regalando un po’ di soldi alla Electrolux per farla rimanere ancora qualche mese qui da noi, ma sarebbe un’operazione priva di senso e fallimentare. Attenzione alle sirene dei “piani industriali”. Lo Stato o i sindacati non hanno alcuna competenza per entrare nel merito del piano industriale della Electrolux. Così come non ne avevano alcuna per entrare nei piani industriali della FIAT. Quei piani industriali servono solo a spillare un po’ di quattrini a noi contribuenti, prendendoci in giro con fantastici investimenti e ampliamenti di linee produttive che non si realizzeranno mai. Incassati i soldi e salvate le apparenze, tra un paio d’anni Electrolux farà le valige lo stesso.

Dobbiamo allora stare a guardare e non fare nulla? La risposta è no. Lo Stato il piano industriale lo deve fare sulle cose di cui ha competenza. E quindi rendere competitivo il sistema Italia. Poi, la Electrolux o la Toyota di turno decideranno se produrre o meno in Italia. Il sistema paese è fondamentale per decidere la localizzazione di una azienda. Il costo del lavoro è solo uno dei fattori che entrano nella funzione di produzione e nemmeno il più importante: in molte industrie il peso del costo del lavoro è oramai inferiore al 10% del totale. Gli operai tedeschi e quelli inglesi sono sicuramente pagati più degli operai italiani, eppure in Germania e in Inghilterra si produce un multiplo delle automobili prodotte in quel che rimane degli stabilimenti Fiat.

Tra i fattori che determinano la competitività di un sistema paese, uno dei più importanti è quello fiscale. Stiamo parlando di tassazione del reddito d’impresa, più che di cuneo fiscale. Il nostro sistema fiscale penalizza l’impresa e favorisce le rendite. Basta guardare alla battaglia demenziale sull’abolizione totale dell’IMU prima casa. Demenziale perché ha costretto a spostare ancora più peso fiscale sulle seconde case: visto che queste sono quelle più liquidabili (diremmo da economisti che sono “marginali”), il mercato immobiliare rimarrà depresso e con esso il mercato del credito, soprattutto in un sistema banco-centrico come quello italiano. Demenziale perché la casa non puoi segarla e portarla in Polonia. Le imprese invece sì. La FIAT sposterà il suo domicilio fiscale in Inghilterra. La Ferrero è da anni in Lussemburgo. Le banche hanno spostato attività in Lussemburgo, in Irlanda, a Londra e mantengono la sede in Italia solo perché quello finanziario è un sistema rigidamente regolamentato. Cosa ce ne facciamo di aliquote così elevate se poi la base imponibile non l’abbiamo più? Bisogna fare buon viso a cattivo gioco, fregarsene di chi accuserà di essere schiavi del capitale, ma portare la tassazione sul reddito d’impresa a livelli simili a quelli dei paesi nostri concorrenti. Avere un approccio flessibile, con aliquote fiscali a’ la carte come quelle Lussemburghesi, è fondamentale. Sperare che sia l’Unione Europea a risolvere i problemi, con Olanda, Lussemburgo, Inghilterra e Irlanda membri votanti, è una pia illusione.

L’energia è un altro fattore. Abbiamo voluto sussidiare le energie rinnovabili, rabbrividiamo al solo pensiero di avere un rigassificatore sulle nostre coste, le centrali a carbone per carità (e non menziono il nucleare per amor di patria) e adesso siamo fuori mercato. C’è poco da fare, l’Italia su certe industrie non può competere. La vicenda Alcoa insegna. Su questo purtroppo possiamo fare poco nei prossimi dieci anni perché il costo delle rinnovabili ce lo porteremo dietro e perché le infrastrutture energetiche richiedono orizzonti molto lunghi per essere programmate e realizzate. Ormai abbiamo perso la partita sulle industrie più energivore (inutile perdere tempo con situazioni tipo Alcoa) ma possiamo ancora recuperare sul resto. Come Scaroni, l’AD dell’ENI ha dichiarato pochi giorni fa, possiamo ridurre del 10% la bolletta energetica per i consumatori italiani. Questo è quello che dobbiamo fare. Non buttiamo via soldi cercando di sussidiare le aziende più energivore con la fiscalità generale. Sarebbe un controsenso e non a medio termine non servirebbe a nulla.

I trasporti sono un altro fattore. Il Nord Italia è al collasso. Lo si dice da 20 anni. Bisogna migliorare i collegamenti merci con il cuore dell’Europa. Sulla TAV possiamo avere idee diverse, ma quello è l’esempio di cosa bisogna fare … per non fare più gli stessi errori. Per fortuna che l’Alta Velocità Torino-Milano-Roma dimostra che qualcosa siamo ancora capaci di farlo. Malpensa è stato sacrificato al progetto Alitalia-AirFrance e agli interessi dei taxisti milanesi. Per salvare un migliaio di posti di lavoro a Roma (non per sempre ma solo per qualche anno, perché oggi siamo punto e a capo) e qualche centinaio di taxisti, abbiamo ridotto la produttività e l’attrattività di tutto il Nord Italia. L’ennesima dimostrazione che sussidiare attività, industrie, servizi “morti” non serve assolutamente a nulla.

Le comunicazioni. Nella Finanziaria appena approvata, il governo ha sacrificato gli investimenti sulla banda larga per sussidiare le aziende televisive locali in via di fallimento. Ha senso? La Telecom, oberata dai debiti che alcuni nostri concittadini con la connivenza della politica hanno gentilmente trasferito sul bilancio della società, non è più in grado di fare investimenti seri. Vogliamo trovare una soluzione?

E veniamo alla burocrazia. Anzi questo capitolo non apriamolo nemmeno, perché oramai lo conoscono anche i bambini delle elementari. Solo una cosa colta al volo oggi ascoltando il giornale radio. Sembra che sia stata anticipata l’entrata in vigore di una norma che impedisce ai caseifici che producono mozzarella di bufala di produrre nello stesso stabilimento altri prodotti caseari (immagino di latte vaccino).

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Un pensiero su “ELECTROLUX: DURA REALITAS SED REALITAS

  1. Caro Marcello , con queste note hai espresso una diagnosi impietosa sulla salute dell’Italia che purtroppo corrisponde alla dura realtà. Ma tu pensi che gli italiani siano disposti a sopportare le terapie per avviare il Paese verso la guarigione oppure seguiranno un metodo “DI BELLA” suggerito dal solito imbonitore di turno ?

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