Alla annuale research conference dell’IMF (7-8 novembre) sono stati presentati 2 paper, a cura di economisti della FED. Pur trattandosi di lavori molto “tecnici”, hanno ricevuto una certa attenzione anche sulla stampa finanziaria perché, tra le formule, si può capire quale ragionamento stia dietro alla politica ultra-espansiva della FED. In estrema sintesi, i due paper fanno trasparire che nella funzione di reazione della FED potrebbe essere inserito un livello “critico” del tasso di disoccupazione al 6%-5,5%. Allo stesso tempo, la FED sarebbe disposta a tollerare un livello d’inflazione superiore al 2,5%, pur di raggiungere tale obiettivo. Ricordiamo che la soglia critica della disoccupazione che la FED aveva lasciato intendere in precedenza era pari a 6,5%. Con le proiezioni attualmente disponibili, questo potrebbe significare che prima del 2017 non si vedranno rialzi dei tassi negli USA. Se la posizione degli economisti della FED fosse sposata dal Board, questo significa che la Yellen, pur iniziando il suo mandato con il tapering, emetterà una forward guidance che indicherà tassi zero per tutto il suo (primo mandato). Se così fosse, il tapering non dovrebbe causare shock sui tassi a lungo termine.
D. Wilcox et al in «Aggregate supply in the United States: recents developments and implications for the conduct of monetary policy» espongono i seguenti «fatti»:
(i) Nel 2013:Q1 il livello di GDP potenziale era ancora a -6% rispetto al trend pre-crisi.
(ii) La perdita maggiore è stata nell’accumulazione di capitale e in una riduzione del tasso di crescita della produttività dei fattori
(iii) C’è stato un aumento modesto nel tasso naturale di disoccupazione, ma l’evidenza su danni strutturali al mercato del lavoro è meno forte e non provata del tutto
Dal punto di vista teorico, è molto interessante notare che ribaltano in senso keynesiano la classica legge di Say e parlano di endogeneità dei supply shocks. Se gli shock dal lato della domanda (real estate bubble) possono generare shock dal lato dell’offerta (accumulazione di capitale), allora la politica monetaria ha un ruolo non solo nel contrastare i primi ma anche i secondi. Quindi, la politica monetaria può avere un ruolo anche per contrastare l’impatto sull’output potenziale nel lungo periodo, attraverso l’effetto su tipici fattori «supply side», come la formazione di nuove attività imprenditoriali e l’attività di ricerca e sviluppo. Il contrasto all’isteresi generata da shock sul lato della domanda porta quindi «…the optimal montary policy to be more activist»
W. English et al in «The Federal reserve’s framework for monetary policy: recent changes and new questions» sostengono che il raggiungimento dello «zero lower bound» ha reso necessario per la FED e le altre banche centrali intraprendere forme non convenzionali di politica monetaria (QE, LTRO, …) e migliorare la comunicazione e la trasparenza, al fine di ancorare le aspettative e abbassare la parte a lunga della curva. Dal punto di vista teorico, sostengono che la ricerca abbia oramai provando quanto segue:
(i) Se i tassi raggiungono lo zero, la reazione ad un miglioramento del ciclo economico deve essere più morbida e per evitare contraccolpi negativi è necessaria la permanenza in tale stato per un periodo di tempo più prolungato di quanto sarebbe giustificato in altre circostanze (Woodford)
(ii) Il precommittment da parte della banca centrale è fondamentale e di conseguenza le soglie critiche devono essere ben individuate per ancorare le aspettative
(iii) L’obiettivo di «low and stable inflation might usefully be changed» attraverso l’adozione di un target inflazionistico più elevato (Blanchard) o di un target di crescita del GDP nominale (Woodford)
Usando I modelli econometrici della FED, le conclusioni sono : «we find that both a higher inflation target and nominal GDP targeting could contribute to improved macroecomic outcomes».
Le tesi primarie, sostenute dagli economisti della FED, rappresentano una «rivoluzione» nella condotta della politica monetaria, per come questa è emersa dalla battaglia contro l’inflazione degli anni ‘70. Una rivoluzione che, nelle intenzioni degli autori, dovrebbe portare ad una politica monetaria estremamente interventista, molto preoccupata dei danni strutturali causati dalla crisi del 2007 sul lato dell’offerta e decisamente poco interessata all’inflazione. Siamo quindi agli antipodi, pratici e teorici, rispetto all’ortodossia della Bundesbank. Quindi, con la Yellen dobbiamo aspettarci QE-infinity e tassi a zero per l’eternità? Per quanto riguarda il tapering, in realtà questo approccio rende più semplice una strategia di uscita dal QE: se la FED comunicasse FedFunds a zero fino al 2017, i tassi a lunga non dovrebbero muoversi granchè. E la FED potrebbe preoccuparsi meno degli effetti collaterali non solo sull’economia USA ma anche sui paesi emergenti e sui paesi della periferia europea, Italia in primis- In realtà, anche alla FED (perlomeno nei warning di rito conclusivi) sono preoccupati che il messaggio possa essere mal interpretato e che l’inflazione dai beni di consumo si trasferisca alle attività finanziarie, generando una bolla speculativa dalle dimensioni colossali. Bisognerà capire, anche dalla audizione del prossimo giovedì, cosa effettivamente pensa la Yellen e se l’attività macroprudenziale e la regolamentazione del settore bancario siano sufficienti ad evitare che lo scoppio della prossima super-bolla non causi una crisi di liqudità e creditizia come quella del 2007.
LINK AI PAPER
http://www.imf.org/external/np/res/seminars/2013/arc/pdf/english.pdf
http://www.imf.org/external/np/res/seminars/2013/arc/pdf/wilcox.pdf