Il costo sociale del grasso in eccesso

di Paolo Barbera

Per alcuni di noi l’obesita’ è quel problema circoscritto alla mandria di ciccioni che vediamo alle prese con diete impossibili e programmi di allenamento spaccacuore in trasmissioni tipo “the Biggest Loser”.
In realta’ l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (OMS) ha recentemente definito l’obesita’ come una “epidemia globale”.
In Europa la percentuale di individui in sovrappeso, ossia con Body Mass Idex (BMI) superiore a 25 sono il 40 pct e quelli obesi (BMI superiore a 30) il 12 pct.
A livello globale si contano oltre 1 miliardo di persone adulte in sovrappeso e 310 mln di obesi. Nei bambini le statistiche scendono a 160 e 40 milioni.
Il Bel Paese non e’ esente da questo fenomeno che sta raggiungendo proporzioni allarmanti (16.5 milioni in sovrappeso 5,5 mln di obesi).
Il problema non e’ pero’ limitato a chi e’ eccessivamente in carne, ma ha un importante impatto sociale.
Si calcola che i giovani obesi hanno una riduzione dell’aspettativa di sopravvivenza di circa 10 anni e lo scadimento della qualita’ della vita collegato all’aumento delle malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione etc, ha costi sanitari e sociali estremamente rilevanti.
L’obesita’ ha una incidenza economica sociale non trascurabile dovuta  tra l’altro ai costi sanitari, assenteismo al lavoro e ridotta performance lavoratova.
Stime sul fenomeno evidenziano un costo sociale dell’obesita’ pari all’1 pct del PIL. In alcuni paesi europei tale costo rappresenta il 6 pct della spesa sanitaria diretta.
Se a questo punto pensate che con il vostro BMI a 24 siete fuori pericolo, magari cercate di intervenire su chi vedete in difficolta’, specialmente se e’ un bambino. Un bambino obeso sara’ quasi certamente un adulto obeso e si portera’ dietro gravi problemi di salute.
Se la nonna gli spara tutti i pomeriggi la fettazza di pane con burro e zucchero o lo ingolfa di merendine al suono di “mangia, mangia bello della nonna” forse e’ ora di dare una svolta alle sue abitudini alimentari.
Le soluzioni al problema sono la prevenzione e la cura. Per quanto  riguarda la prevenzione,  una delle strade piu’ efficaci puo’ rilevarsi la sensibilizzazione.
Se nessuno mi spiega i principi di sana e corretta alimentazione, difficilmente saro’ spinto  a cambiare le mie abitudini.
Sarebbe quindi troppo chiedere che nelle scuole o nelle aziende vengano avviati programmi di educazione alimentare? Oppure che come negli USA (vedi Michelle Obama) ci fossero influencer schierati in prima linea contro l’obesita’? Inoltre sempre negli USA si sta pensando ad introdurre una tassazione su junk food e bibite gassate (il che oltre a generare un introito indiretto assicura un introito indiretto per minori spese mediche).
Sulla linea della prevenzione si sono mosse di recente anche la Germania (educazione ai bambini ai quali al termine di un corso verrà consegnato un patentino alimentare) Francia (riduzione spot televisivi di junbk food) e Spagna (con la campagna “misura la tua salute).
Al di la dei vantaggi evidenti, siamo o no quello che mangiamo?

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