IL DECLINO DELL’ITALIA E IL CROLLO DEGLI INVESTIMENTI

L’Istat ha rilasciato ieri alcune statistiche piuttosto deprimenti sull’andamento dell’economia italiana nel 2013: PIL -1,9%, Disoccupazione al 12,9%, Debito Pubblico al 132,6%. A causa di questo crollo, a fine 2013 il nostro PIL è tornato ai livelli pre-2000.

Che la crisi italiana non sia congiunturale, ma venga da lontano, lo si capisce dalla spesa per investimenti che, in termini reali, già l’anno scorso era tornata sotto il livello del 1991. L’Italia è l’unico grande paese industrializzato dove ciò è accaduto. Il primo semestre di quest’anno conferma un crollo di un altro -6% e quindi quando l’OCSE rilascerà i dati definitivi il quadro sarà anche peggiore.

Nel grafico confrontiamo l’andamento della spesa per investimenti di Italia, Germania e Francia. Il nostro punto di partenza sarà il 1991. Ogni punto di partenza è arbitrario ma gli anni ’90 segnano l’inizio del progetto di Unione monetaria, di cui l’Italia avrebbe dovuto essere uno dei maggiori beneficiari, visto che ciò ha comportato nell’arco di 20 anni il crollo dei tassi d’interesse e quindi il crollo della spesa per interessi sul nostro debito pubblico.

Ebbene, quello che si evince dal grafico è che a fine 2012 in Germania la spesa per investimenti è del 17% più alta che non a inizio dell’avventura dell’UME e in Francia del 35%. In Italia, invece, è più bassa.

Le determinanti degli investimenti sono sostanzialmente due. La prima è legata ai tassi d’interesse e la seconda alle aspettative sul futuro.

Noi abbiamo subito negli ultimi 3 anni l’aumento dello spread. Per chi predica che lo spread è un imbroglio e nega l’importanza vitale di ridurlo, basta pensare che anche adesso che lo spread si è ridotto le nostre aziende sono costrette a pagare un tasso d’interesse che è 2 o 3 volte più elevato dei loro competitors italiani o francesi.

Ma l’elemento più importante di tutti è l’incertezza. L’economia italiana è soggetta ad un grado di incertezza che le altre economie avanzate non conoscono. Incertezza politica che si riflette in incertezza fiscale, normativa, … A cavallo degli anni ’90 abbiamo deciso di cambiare modello di sviluppi, abbracciando la “serietà” dell’UME e abbandonando il mondo delle svalutazioni competitive. Questo comportava una serietà di comportamenti e di riforme che non siamo stati in gradi di realizzare, se non in parte. Basti pensare alla vicenda della riforma delle pensioni, iniziata ai primi anni ’90 e finita solo con la Fornero nel 2012. Proprio perché non sappiamo affrontare la realtà ma siamo allo stesso tempo consapevoli che la situazione così non regge, conviviamo con un grado di incertezza che altri non hanno e l’incertezza fa male agli “animal spirits” e ai consumatori. Pensate che i consumi possano crescere se c’è il dubbio che le pensioni non saranno pagate? Sarebbe molto, molto meglio mettere subito in equilibrio il sistema e poi non toccarlo più per 30 anni. E lo stesso vale per la fiscalità, dove la stravaganza dei nostri politici (vedi vicenda IMU) è solo pari alla miopia dei loro elettori. Ma fermiamoci qui, se no andiamo avanti con un’ora di pena.

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