Il karma del moderno Laos

Gli italiani una volta erano definiti il sale della Terra. Ospitiamo con piacere una pagina del diario di una amica che non lavora a Londra o a New York, ma viaggia ai confini del mondo emergente. Gli studi economici si vedono dal modo in cui osserva, ma lo sguardo rimane poetico. Lasciamo la parola a Giorgiana.

Se il Laos fosse una cosa, sarebbe un fiore. La sua forma frastagliata e tondeggiante a nord diventa lunga e sottile a sud, come se fosse uno stelo verde attraversato dalle acque del Mekong. Nonostante la presenza dei suoi operosi vicini, in particolare Vietnam, Tailandia e Cina, il Laos è rimasto una regione che non si è accorta che il mondo progrediva, resa impenetrabile da decenni di comunismo e dittature. Poi, dopo la parziale apertura del governo verso l’estero alla fine degli anni novanta, ha recuperato e oggi è nella classifica dei 10 Paesi con la più rapida crescita del mondo, + 8,5%. Si potrebbe pensare che lo sviluppo sia dovuto all’inaugurazione nel 2011 di una Borsa valori, il Lao Securities Exchange, a Vientiane, la capitale, ma non è così. Al contrario, aprire una Borsa in un paese come questo equivale a piazzare una lavatrice in una stanza senza prese di corrente. Le aziende che potrebbero quotarsi sono pochissime e quelle che ci sono rifiutano di rivelare i bilanci, rispettare le regole e seguire le normative. Per capire perché in questo Paese c’è poco spirito capitalista bisogna pensare che stiamo parlando di una cultura basata sulla labilità delle cose materiali e della realtà. D’altronde, quale motivo può esserci nell’accumulazione di capitale se il cambiamento del proprio essere viene affidato alla speranza di reincarnarsi in una vita migliore? In questo Paese dai paesaggi da paravento cinese sono infatti quasi tutti buddisti, molti addirittura animisti che delegano fortune o disgrazie agli spiriti e alla natura. La Corea del Sud, che detiene il 49% del Lao Securities Exchange, rimarrà quindi a bocca asciutta, almeno per ora, visto che sono solo due le aziende che si offrono ai capitali stranieri: la società idroelettrica nazionale e la banca Laotiana per il commercio estero.
Al contrario, la Cina sta colonizzando senza sforzi il Paese, grazie a una cultura che conosce bene e che sa sfruttare a proprio vantaggio. In due settimane di viaggio nel Nord mi sono fatta l’idea che le cose che muovono la vita economica e sociale in questo posto sono più o meno sei: la cura del Karma, il riso (glutinoso e non), l’acqua del Mekong, il karaoke, la birra Beerlao e gli alberi della gomma. Sono stata recentemente in un remoto villaggio di etnia Akha, sulle colline nei pressi di Muang Sing. Mentre osservavo il riso asciugarsi al sole su una stuoia di bambù, una giovane donna avvolta in un elegante sarong, si accucciava per metterlo in un sacco scritto in cinese. Appoggiati alla capanna altri sacchi pieni erano pronti a partire, diretti oltre il confine, distante poco più di 60 chilometri. L’altra risorsa è la gomma. Eh si, perché c’è qualcuno che ha scoperto che la gomma la vogliono in tanti e che la pagano bene, così come accade se si parla di energia idroelettrica. E così ora, ovunque sulle montagne color verde-giungla si notano ampie zolle brutalmente rasate, pronte ad accogliere batterie di giovani e produttivi alberi di caucciù color verde-brillante. Mentre il Mekong e il Nam Ou, ancestrali corsi d’acqua e di vita, vengono qua e là soffocati da barriere di cemento capaci di garantire i crescenti commerci di energia idroelettrica con Cina e Vietnam. Lo scempio è già iniziato ma anche questo per i Laotiani fa parte forse dell’inessenzialità delle cose. Per loro la vita è bella se si può cantare e per fare festa basta un microfono, casse potenti e fiumi di Beerlao. Mentre silenziose le lance dei pescatori solcano il fiume color dell’ottone, si sente risuonare nell’aria l’ultimo successo pop cinese. Anche questo è il karma del Laos.

pictures by Giorgiana Scianca

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