La decisione di tagliare di 10 mld le tasse sui redditi più bassi suscita parecchie perplessità. Le motivazioni politiche sono evidenti: le elezioni europee incombono e, Berlusconi docet, la promessa di un taglio di tasse fa sempre il suo effetto sul popolo italiano. Ma con un debito pubblico al 133% del PIL distribuire 100 euro al mese in più (a chi guadagna meno di 1.300 euro) è un’idea “argentina” o una brillante mossa “keynesiana”?
Il ragionamento del premier è il seguente. Riduco le tasse ai più poveri, di circa lo 0,6% del PIL. Al primo giro di “moltiplicatore”, i poveri spenderanno tutti i soldi ricevuti. L’aumento di spesa consentirà di far ripartire l’economia e così la riduzione iniziale di tasse si ripagherà da sola con la maggiore IVA che incasserò, con l’IRES e l’IRAP che caricherò sui maggiori utili che le aziende faranno, … Da quello che si legge sui quotidiani, Renzi si aspetta un aumento del PIL di 0,8%, quindi ipotizza un moltiplicatore del 133% circa. In questo modo dal misero 0,6% attuale ci sposteremmo verso un più confortevole 1,4%.
Con un semplice modello di moltiplicatore calibrato sulle caratteristiche dell’economia italiana, il deficit pubblico dovrebbe aumentare “solo” di un 0,4%. Se crediamo all’ipotesi del governo che il deficit/PIL del 2014 stia viaggiando attorno al 2,6%, questo significa che la manovra di Renzi non dovrebbe farci sforare il limite del 3%.
Quali le obiezioni?
Partiamo dall’Europa e dai vincoli di finanza pubblica. E’ molto difficile che a Bruxelles accettino un taglio di tasse senza coperture precise. Ricordiamo che la spending review è già stata “spesa” dal governo Letta. L’accordo con la Svizzera se e quando entrerà in vigore potrà generare delle entrate, ma è assolutamente aleatorio fare delle stime e infatti non sono mai state messe a copertura di spese correnti. La riduzione dello spread è una piccola manna che da sola può fruttare qualche miliardo di euro di risparmi di spesa. Ma attenzione. Già il governo Letta ha sfruttato questa bonanza per allargare i cordoni della borsa. Il rischio è che quando la politica monetaria invertirà il suo corso non avremo più alcun margine di manovra e al contrario dovremo ricorrere a correzioni dolorosissime. Un errore simile lo abbiamo fatto all’inizio dell’era dell’euro, quando al posto di usare la riduzione dei tassi d’interesse per abbattere il debito, abbiamo optato per aumentare la spesa pubblica e/o ridurre le tasse. Il Belgio seguì un’altra strada e infatti è passato quasi indenne dalla crisi dei PIIGS.
Il problema inoltre è capire quale sia il livello di deficit/PIL verso cui tendiamo e quale sarà l’impatto di tutte le altre manovre che il precedente Governo aveva già messo in pista e che si aggiungono agli altri miliardi che il governo Renzi ha promesso (scuole, debiti PA, …). I dati Bankit del 2013 mostrano un deficit che per cassa viaggia sul 5%, più che sul 3% del criterio di competenza.
Quindi, una tripla sfida nei confronti della Commissione Europea: abbassamento della pressione fiscale “solo” per aumentare i consumi (senza alcuna relazione alla competitività del paese, tipo incentivi alla ricerca, … ), assenza di copertura ex-ante e rialzo delle stime di crescita del PIL per il 2014 (a pochi giorni di distanza dall’abbassamento che è stato effettuato).