Sembra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Lo Stato garantisce 1 e si generano 12,5 crediti alle piccole e medie imprese italiane, sotto forma di mini-bond. Come è possibile?
Il miracolo ha un nome e si chiama first-to-default. Parecchi intermediari caddero nell’inganno dei first-to-default all’alba dell’era dei credit derivatives. Adesso tocca al Tesoro. Ma si sa la PA è indietro in tutto e come si è dovuta fare l’esperienza con i derivati “normali” adesso dovrà assaggiare anche la frusta dei credit derivatives per capire che i miracoli in Finanza non esistono.
Per avere un’idea della trappola in cui si è cacciato il Tesoro, pensiamo ad un portafoglio di 100 milioni di euro di mini-bond rispetto al quale il Tesoro garantisce l’80% delle prime perdite fino al raggiungimento di un ammontare complessivo di perdite pari all’8 del valore nominale del portafoglio.
Oggi, le sofferenze bancarie sui prestiti alle piccole e medie imprese sono su livelli del 15%. Ipotizziamo che il 50% dei crediti in sofferenza si trasformi in perdite, questo significa che su un portafoglio di crediti della qualità media “italiana”, si perde oggi il 7,5%. Ergo, nel nostro portafoglio le perdite ammonterebbero a 7,5 milioni. Di queste, il Tesoro coprirebbe l’80%, cioè 6 milioni. Il resto (1,5 milioni) sarebbe a carico dei sottoscrittori del fondo di minibond.
Visto che per gli arranger del fondo di mini-bond, il costo della garanzia statale è pari all’1%, basta che i mini-bond rendano 2,5%=1,5%+1% in più del BTP (risk-free) e sono in pareggio. Il Tesoro, invece, perderà con certezza 6%-1%=5% per ogni portafoglio di mini-bond che garantisce.
Magari, un portafoglio crediti costruito oggi potrebbe avere una qualità superiore a quella di un portafoglio costruito storicamente negli ultimi anni di crisi nera del sistema economico italiano. Tuttavia, il limite imposto dalla normativa sembra essere quello che i nomi in portafoglio abbiano un merito creditizio non inferiore a B meno. Beh, alla faccia della qualità … qui siamo deep in the junk!
Lasciamo stare considerazioni ideologiche sul modo in cui un governo utilizza i soldi dei suoi concittadini, ma il dubbio che a Roma non conoscano i credit derivatives è più che lecito. E il dubbio che non si siano rivolti ad un’agenzia di rating o a qualche investment bank è supportato dall’uso di percentuali (tipo 8% per la tranche junior) che ricordano la vecchia normativa bancaria sugli assorbimenti di capitale e non hanno nulla a che vedere con le metriche più recenti sul rischio di credito (e che comunque dovrebbero essere personalizzate sul singolo portafoglio).
Tra l’altro, con la tipica furberia italiana si spera che la UE non si accorga del trucchetto del first-to-default e magari conteggi a debito pubblico solo l’ammontare della garanzia (6,4% del portafoglio) e non l’esposizione equivalente (pari all’80% di tutto il portafoglio di mini-bond).