THE WOLF OF WALL STREET: IL SEQUEL E’ GIA’ INIZIATO…

Per chi il mondo della finanza lo conosce da dentro ed in particolare per chi, in un modo o nell’altro, è stato segnato da film come “Wall Street” (il primo, dato che il secondo e’ un mezzo bidone) l’uscita di “The Wolf of Wall Street” era un appuntamento da non perdere.

Da mesi circolava il trailer ed eravamo impazienti di sorbirci le 3 ore dell’ultima opera di Martin Scorsese. Non vogliamo scrivere una recensione cinematografica, non sapremmo farlo. Se la domanda è “val la pena il prezzo del biglietto?” la risposta è “si”, se invece ci si chiede “sarà il nuovo cult movie su Wall Street?” risponderemmo alla Donnie Brasco… “forget about it!”. Mentre Gekko ha un suo fascino perverso, arricchito da battute fulminanti prese direttamente dal floor, questa è la storia di un truffatore. Ce ne sono tanti in finanza di personaggi così, ma il loro fascino è quello appunto di un truffatore di vecchiette, cioè zero.

Detto questo, il film per certi versi è bello tosto. Non per le numerose scene hard, ma per il fatto che sia tratto da una storia vera. Stramaledettamente vera.

Usciti dalla sala ci siamo fiondati a legger la storia di Jordan Belfort rendendoci conto di quanto la rappresentazione cinematografica fosse veritiera (magari un po’ romanzata, ma vera). La domanda che ci siamo posti è stata: ma come è possibile tutto questo? Ci eravamo sorpresi per gli scandali finanziari di JP Morgan e di Madoff, ma stiam parlando di uno che non solo è ancora a piede libero, ma che addirittura oggi è un quotato motivatore (e di sicuro fra qualche mese le sue quotazioni saliranno a dismisura così come il suo conto in banca, sul quale stanno finendo i diritti di autore del film).
La risposta è stata abbastanza semplice. Fino a che esisterà, nell’ambito degli investimenti finanziari, ignoranza e avidità da parte degli investitori associata a controlli laschi da parte delle autorità di vigilanza, storie come queste saranno destinate a ripetersi.

Di seguito racconteremo la storia. Non c’è nessun finale al cardiopalma da scoprire, potete continuare la lettura anche se avete intenzione di andare a veder il film.

Il protagonista Jordan Belfort (interpretato da un magistrale Leonardo DiCaprio) inizia la sua carriera nel 1987 in una casa di brokeraggio a Wall Street. Giusto qualche mese per godersi una nuova vita fatta di sesso droga e compravendita titoli che tutto sembra finire. Il black Monday (19 ottobre 1987) si abbatte su Wall Street riportando a casa tanti operatori, Belfort compreso.

Come nel caso di altri businessman (tra cui il nostro Flavio “the boss” Briatore) il primo fallimento è solo il preludio di un grande successo.

Rincomincia l’attività di brokeraggio in una piccola società. In realtà non si trattava più di comprare e vendere titoli quotati regolarmente sul mercato, ma di proporre ai clienti titoli a bassissimo valore (penny stocks) esaltandone le grandissime potenzialità di crescita. Si poteva investire 100 dollari e guadagnarne fino a 100,000. “The sky is the limit!” (questo lo sentivamo dire anche ad un amico che nel 1999 aveva partecipato alla IPO di Tiscali)

Fino a qui nulla di strano … basta avere capacità analitiche eccellenti e una iper-dose di fortuna, soprattutto nell’individuare il momento in cui una bolla speculativa sta montando: abbiamo seguito IPO spettacolari anche in tempi recenti (Twitter, Moncler). Ma nel caso delle boiler rooms (questo era il nome con cui poi sono state definite queste società di brokeraggio) i titoli venivano “pompati” e venduti ai risparmiatori i quali vedevano ogni giorno salire il valore e ingordi si vedevano bene dal venderli.
Una volta raggiunto il picco, chi riusciva a vender per primo (indovinate chi..) realizzava il profitto mentre i piccoli investitori restavano con un pugno di mosche in mano (anzi magari qualcuno i titoli se li ricomprava pensando che sarebbero risaliti..)

Fiutate le potenzialità del business, Belfort decide di aprire la sua società, la Stratton Oakmont. Per far questo lavoro non servivano capacità particolari tranne una: saper vendere. Per questo motivo Belfort non andava a pescare tra i laureati MIT o Harward, ma tra gli amici d’infanzia che nella maggior parte dei casi erano spacciatori di droghe leggere (vender mariujana e penny stocks alla fine non faceva grossa differenza).

Da qui l’ascesa. In pochi anni la Stratton Oakmont cresce in maniera esponenziale. La rivista Forbes gli dedica un articolo definendo Belfort “the Wolf of Wall Street”. Inizialmente seccato per i toni piuttosto critici dell’articolo, ben presto si rende conto di esser identificato come un Gordon Gekko in carne ed ossa, e la Stratton Oakmont viene assalita da frotte di Buddy Fox impazienti di lavorare per il nuovo Dio della finanza.

La vicenda rappresenta in nuce lo schema di funzionamento della tipica frode finanziaria, che in forme più o meno sofisticate, in modalità più o meno consapevoli, si ripete dai tempi delle prime bolle speculative e dei primi Ponzi game (un connazionale tristemente famoso per aver portato negli USA gli schemi piramidali). E che purtroppo ha contaminato anche la storia dei fondi comuni italiani quando alla fine degli anni ’90 alcuni gestori (poi puniti da Consob) investivano gli enormi afflussi di denaro che provenivano dalla dismissione dei portafogli di titoli di Stato dei risparmiatori italiani in titoli dalla scarsa liquidità, provocandone rialzi sensibili e quindi registrando performance strabilianti, che a loro volta attiravano nuovi investitori. Allora, come sempre, il giochino finì quando i flussi in ingresso finirono e gli utili fatti sulla carta si tramutarono in perdite.

Torniamo alla storia di Belfort. Gli utili crescevano a dismisura e si poneva il problema di dove metter tutti quei soldi. Nonostante non si facesse mancare davvero nulla (macchine, case, gioielli, feste, prostitute per lui e amici) bisognava pensare al futuro e c’era solo un modo. Portarli in Svizzera.
Logicamente bisognava trovare un prestanome. E allora chi meglio della zia della moglie, una signora insospettabile sulla sessantina e sui cui poteva esercitare il suo fascino da sciupafemmine?
Peccato che la signora fosse colta da infarto qualche tempo dopo e di li iniziarono le disavventure.

Nonostante la SEC fosse piuttosto superficiale durante le attività di ispezione,
un agente dell’FBI alla fine riuscì ad incastrar la volpe.

A dire il vero Belfort ebbe l’occasione per uscire di scena limitando i danni, ma durante il discorso di commiato, da animale del palcoscenico quale era diventato, ci ripensò decidendo di sfidare tutto e tutti.

Il film si chiude con il suo arresto ma il vero seguito è un altro.

Basta andare sul sito http://jordanbelfort.com/ per rendersi conto di come la giostra sia appena rincominciata.

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